Campagna archeosub

Nel caso di una campagna sistematica di archeologia subacquea, il primo passo è da attuare è quello della pospezione. Per prospezione si intende l’indagine, diretta o con strumentazione, di un’area circoscritta.

I fattori determinanti per pianificare una prospezione sono: estensione dell’area, caratteristiche del fondale, profondità, mezzi e possibilità operative.

Vista la complessità e la tecnicità dell’argomento, in questa sede verranno tralasciati i metodi di prospezione diretta strumentale, cercando di fornire qualche notizia su quelli definiti di trascinamento e a vista.

Nei metodo di prospezione di trascinamento si possono elencare:

  • sciabica di superficie;
  • sciabica in immersione con un operatore;
  • sciabica in immersione con più operatori.

Per sciabica, termine derivato dalla pesca a strascico, si intende quel metodo di esplorazione del fondale basato sullo strascinamento di cime e pesi.

Nei sistemi a vista troviamo:

  1. Corsia o tracciato

    L’area oggetto d’indagine viene delimitata da due cime parallele, con riferimenti progressivi, posizionate sul fondo. I subacquei impugnano una corda a distanza regolare; gli operatori posizionati alle estremità avranno il compito di tenere anche la rotta, avendo come linea di fede le cime che circoscrivono la zona. In base alla visibilità e al numero di subacquei in immersione, si tenterà di avere una copertura completa della corsia da esplorare. Affinché l’area tutta sia investigata, il campo visivo di ogni operatore si sovrapporrà di circa un metro a quello del compagno suo attiguo. 
  2. Traversino

    Nel caso si disponga di solo due operatori, il metodo del traversino risulta essere quello più adatto. L’area viene delimitata da due cime con riferimenti progressivi; in corrispondenza dei riferimenti si fa partire il traversino, ovvero una cordicella o una fettuccia che colleghi le due cime.
  3. Pendolo

    Sul fondo vengono distese due cime partendo da uno stesso punto d’origine; le cime delimiteranno un’area a forma di semicerchio. Con un fettuccia metrica di riferimento, vincolata al punto d’origine, il subacqueo percorrerà l’arco tracciato accorciando o allungando man mano la fettuccia.
  4. Spirale

    Il sistema è molto simile al ”pendolo”, con la differenza che l’area delimitata sarà circolare e il percorso effettuato dal subacqueo risulterà, appunto, a spirale. In base ai diversi contesti, gli archeologi adotteranno la strumentazione più adeguata. Tra quelle più comunemente utilizzate si possono citare:

    la sorbona (ad aria o ad acqua), la lancia ad acqua, le cazzuole, gli scalpellini, i bisturi, i pennelli e le mani. Casi rari prevedono l’uso di oggetti particolari e inconsueti: il recupero dei resti del relitto di Roskilde, in Danimarca, per esempio, richiese l’uso di palette di plastica giocattolo (come quelle da spiaggia), tale era la delicatezza dei materiali da asportare.

    In ambito subacqueo, la sorbona, è lo strumento più diffuso. Essa è costituita da un tubo semirigido con una terminazione metallica; funziona grazie alla differenza di pressione che si crea al suo interno quando vi si immette aria tramite una bocchetta collocata nei pressi dell’imboccatura: in acqua l’aria tende a salire e crea così una forza ”risucchiatrice” che rimuoverà gli strati del fondali. Esiste anche un modello ad acqua che adotta lo stesso principio di funzionamento, ovviamente con la sostituzione dell’acqua all’aria. Meno potente, questo modello è tuttavia più indicato per scavi di strati delicati.

    Per fondali fangosi o particolarmente duri, la lancia ad acqua sembra essere lo strumento più adeguato.

Se gli scavi non venissero accompagnati da una documentazione esaustiva, sarebbero incompleti e sterili. Il recupero di materiale fine a se stesso, infatti, non è di alcuna utilità per la Disciplina poiché verrebbero meno tutti quei dati fondamentali alla ricostruzione e l’interpretazione dei materiali rinvenuti.

Uno scavo, per essere ben condotto, deve prevedere:

  1. quadrettatura del sito;
  2. realizzazione della planimetria (rappresentazione grafica bidimensionale che fornisce l’insieme del sito) e/o della sezione (rappresentazione grafica bidimensionale che fornisce una visione verticale del sito);
  3. impianto dei capisaldi per il rilievo;
  4. realizzazione sezioni ortogonali;
  5. asporto deposito sterile;
  6. impianto e rilievo della quadrettatura;
  7. copertura fotografica.Il rilievo può essere completato grazie alla fotografia.

    La fotografia è prettamente funzionale alla documentazione del contesto complessivo e dei particolari che lo compongono. Le norme che devono essere rispettate, affinché la foto sia utile sono: l’indicazione dell’orientamento e la presenza di un riferimento metrico.

    La fotografia in ambiente sommerso comporta dei problemi specifici inerenti all’acqua, inerentemente alla rifrazione, all’assorbimento dei colori e alla visibilità. 
  8. rimozione primo strato;
  9. copertura fotografico e rilievo strato successivo;
  10. rimozione strato successivo;
  11. copertura fotografica e rilievo dello scavo;
  12. ricopertura dello scavo.

In ambito subacqueo può capitare di dover riportare in superficie oggetti di diverse dimensioni: dal pettine di legno o di osso a un gruppo di anfore, da un‘ancora in pietra a uno scafo intero!Il mezzo di recupero che più viene utilizzato è il pallone di sollevamento. Riempito d’aria, il pallone svilupperà una forza positiva tale da sollevare anche materiali molto pesanti.

Per gli oggetti di piccoli dimensioni si procede con una prima catalogazione in acqua per mezzo di un cartellino che riporterà il numero, il quadrato di provenienza, lo strato, la data e naturalmente il nome e la localizzazione del sito. L’oggetto viene poi rinchiuso in un sacchetto e posizionato in una cassetta con altro materiale delle medesime dimensioni. La cassetta viene quindi imbragata e portata in superficie o con un piccolo pallone o dallo stesso subacqueo (a meno che il peso dell’oggetto non superi i tre/quattro chilogrammi, per motivi di sicurezza).

Se si procede al recupero di ceppi d’àncora, per esempio, essi vengono assicurati sia al loro centro che alle estremità, in modo tale da non spezzarli durante il trasporto e poi legati all’immancabile pallone di sollevamento.

I gruppi d’anfore invece vengono disposti in gabbie metalliche, separati con materiale anti-urto mentre le singole anfore vengono imbragate e posizionate in verticale con la bocca rivolta verso la superficie; le anse, molto delicate, non vengono legate. Una volta recuperati si pone il problema di come conservare gli oggetti, poiché non tutti reagiscono allo stesso modo al contatto con l’aria.

Il metallo per esempio pone molti problemi a causa della sua instabilità: una volta fuori dall’acqua, anche se apparentemente in buone condizioni, tenderà a degradarsi con estrema facilità. Per questo, i materiali ottenuti dalla fusione generalmente necessitano di essere di nuovo immersi in soluzione liquida, fatta eccezione per il rame e il bronzo che vanno invece conservati in ambienti particolarmente secchi, onde evitare quello che tecnicamente viene definito ”cancro” del materiale, ovvero un processo di corrosione. Il piombo e lo stagno, una volta recuperati, vanno posizionati in contenitori di polietilene, questo per non permettere il contatto con altre sostanze, esempio il legno delle mensole dove vengono riposti gli oggetti,e innescare così delle reazioni che porterebbero alla corruzione del materiale stesso.

Tra le ceramiche, quella poco cotta o porosa è senz’altro la più delicata, ma tutte, anche quella ”normale” o quella invetriata, non devono essere asciugate troppo velocemente affinché il sale marino non si cristallizzi sulla struttura causando rotture o crepe. Tali provvedimenti vanno adottati anche per i materiali litici.

Anche il vetro può degradarsi al nuovo contatto con l’aria a causa del silicio contenuto al suo interno. La conseguenza sarà una sorta di fogliazione sotto forma di piccole scaglie. Il legno, infine, è opportuno che sia recuperato per ultimo. Una volta in superficie si provvederà ad avvolgerlo in fogli di materiale assorbente, inzuppati d’acqua.