Anche se da un punto di vista metodologico l’archeologia è una sola, sia di superficie o subacquea, sotto l’ombrello di questa scienza che ha per oggetto principe del proprio studio il dato materiale, trovano collocazione diverse discipline. Una di queste è la c.d. archeologia navale che studia nello specifico le imbarcazioni, gli aspetti tecnici e culturali ad esse connessi.
Nell’antico Egitto le imbarcazioni erano il mezzo di trasporto per eccellenza. Sia per la navigazione interna lungo il Nilo e i mille canali limitrofi, sia per la navigazione in mare aperto finalizzata agli scambi commerciali con altri popoli.
Tralasciando in questa sede l’analisi dell’alto valore simbolico delle imbarcazioni (oltre che componente dinamica legata alla quotidianità, la barca era simbolo anche di viaggio ultraterreno e mezzo usato dalle divinità), le prime attestazioni di raffigurazioni di imbarcazioni risalgono a circa 6000 anni fa.
Particolarmente ricco il campionario risalente alla cultura del Neolitico egizio denominata Naqada: per citare qualche esempio si possono annoverare, a puro scopo esemplificativo e non esaustivo, i numerosissimi vasi d’argilla decorati a pittura rossa o nera, il famoso e unico lino di Gebeleine o le rappresentazioni parietarie di una tomba rinvenuta nel sito di Hieraconpolis. In tutti questi casi, la figura dell’imbarcazione compare in posizione dominante e rappresentata sempre nello stesso modo o con poche varianti: uno scafo curvilineo che si innalza nella stessa misura sia a prua che a poppa. Una doppia cabina in posizione centrale e un alto palo che reca insegne o bandiere.
Nell’arco dei tremila anni di sviluppo della civiltà egizia, i natanti e le loro rappresentazioni continuano a comparire soprattutto in contesto funerario: oltre alle immancabili rappresentazioni su parete, a partire dal Medio Regno, nelle sepolture dei funzionari o a personaggi dell’upper class, vengono deposti insieme al defunto diversi modellini di barca per lo più realizzati in legno, dotati anche di rematori, come parte integrante del corredo. Tali modellini, nelle credenze degli antichi egizi, avrebbero soddisfatto le necessità del defunto di compiere il proprio viaggio rituale verso Abido o più semplicemente era il mezzo che avrebbero usato nella continuazione della loro vita ultraterrena.
Un caso eclatante, ma decisamente in linea con lo status del defunto in questione, è quello di Cheope o Khufu (2551-2528 a. C. circa), noto faraone della IV dinastia e della sua nave scoperta nel 1954 nei pressi del lato sud della famosa e omonima piramide.
Grazie a questo ritrovamento, le conoscenze sulle navi egizie ha avuto un notevole contributo; avendo, infatti, a disposizione un’intera nave integra si è potuto analizzare modalità e tecniche costruttive.
Nella realtà dei fatti la nave era stata accuratamente smontata e riposta in una fossa (con ogni probabilità nel momento della deposizione del defunto); la particolarità è che ogni pezzo riportava la propria collocazione rispetto alla prua e alla poppa. Seguendo queste le “istruzioni”, gli egittologi sono riusciti a dar forma e volume a tale meraviglia. Un enorme puzzle costituito da 600 pezzi principali e 624 parti accessorie che una volta montato si è presentata in tutto il suo splendore con una lunghezza di oltre 43 metri e una larghezza di 5,9 metri.
I dati tecnici emersi sono stati estremamente interessanti: il fasciame era di legno di cedro e di acacia; il metodo di costruzione utilizzato prevedeva l’uso di legature con fibre vegetali; lo scafo era autoportante e veniva utilizzata la tecnica delle mortase e dei tenoni. Insomma un vero e proprio capolavoro di ingegneria.
Dal 1982 la nave è contenuta in un museo realizzato appositamente per questo oggetto collocato nei pressi della grande piramide.