L’Italia è un paese che presenta, tra la penisola e le isole, circa 8000 km di coste. Su queste, esattamente come oggi, la presenza dell’uomo in passato e in particolare in epoca romana, era ben attestata.
Porti, ville marittime, peschiere. Strutture che potremmo definirle monumenti costieri. Il numero di questi monumenti ritrovati è bassissimo; la sopravvivenza di queste strutture, ove presenti sono a rischio, a causa sia di elementi naturali sia degli interventi antropici: dagli interramenti (avvenuti anche in passato, ed erano una pratica più che abituale per distruggere i porti di località conquistate) sia per l’odierna crescente richiesta di nuovi porti turistici.
Dove esistenti, queste strutture sono state scarsamente studiate. Come spesso accade in Italia, non c’è stato uno studio sistematico per la mancanza di fondi e il volontariato e le segnalazioni a volte grossolane hanno portato spesso alla confusione e a indicazioni sommarie sotto lo voce generica di “rovine archeologiche”
Ma come costruivano i Romani in ambiente sommerso?
Abbiamo una fonte diretta fornita da Vitruvio che in un passo della sua opera De architectura (V, XII) ci illustra le modalità costruttive di opere portuali. Per completezza dobbiamo anche constare le descrizioni fornite da altri due autori, anche se più generiche, che sono quella di Flavio Giuseppe per la costruzione di Sebastos, il porto di Caesarea Maritima, e quella di Procopio di Cesarea.
Vitruvio descrive le tre metodologie fondamentali per costruire in acqua. Logicamente le maestranze si scontravano con problemi di natura diverse a seconda dei luoghi in cui si trovavano ad operare; si adattavano un po’ al contesto, logicamente.
Il primo metodo prevedeva la costruzione in cassaforma ”inondata”
”Deinde tunc in eo loco, qui definitus erit, arcae stipitibus robusteis et catenis inclusae in aquam demittendue destinandueque firmiter; deinde inter ea extrastilis inferior pars sub aqua exaequanda et purganda, et coementis ex mortario materia mixta, quemadmodum supra scriptum est, ibi congerendum, denique compleatur strurtura spatium, quod fuerit inter arcas. ”
Trad.: Quindi, in quel punto stabilito, si debbono affondare e bloccare con sicurezza delle casseforme tenute insieme da montanti di quercia e tiranti trasversali; poi, nel vano interno, [lavorando] dalle traversine si deve livellare e pulire il fondale e gettare la malta, preparata come è spiegato sopra, mischiata al pezzame di pietra, fino a che lo spazio tra le paratie non sia riempito di calcestruzzo.Il secondo metodo prevedeva la costruzione in cassaforma ”stagnata”
”In quibus autem locis puivis non nascitur, his rationibus erit faciendum, uti arcae duplices relatis tabulis et catenis conligatae in eo loco, qui finitus erit, constituantur, et inter destinas creta in eronibus ex uiva palustri factis calcetur. Cum ita bene calcatum et quam densissime fuerit, tunc cocleis, rotis, tympanis coniocatis locus, qui ea septione finitus fuerit, exinaniatur sicceturque, et ibi inter settiones fundamenta fodiantur.”
Trad. In quei luoghi invece, in cui non si trova la pozzolana, si dovrà seguire questo procedimento: nel punto che si sarà delimitato si impiantino delle paratie a doppia parete, tenute insieme da tavole riportate e traverse, e tra i montanti [interni alle paratie] si incalchi dell’argilla [confezionata] in panieri fatti d’alga di palude. Quando l’argilla sarà compressa al massimo, allora con pompe a vite, ruote e tamburi acquari [lì] installati si svuoti e asciughi lo spazio circoscritto con questo recinto stagno, e tra le paratie si scavino le fondazioni.Il terzo invece prevedeva la costruzione a blocchi prefabbricati
”Sin autem propter fluctus aut impetus aperti pelagi destinae arcas non potuerint continere, tunc ab ipsa terra sive crepidine puivinus quam firmissime struatur, isque puivinus exaequata strnatur planitia minus quam dimidiae partis, reliquum, quod est proxime litus, proclinatum latus habeat. Deinde ab ipsam aquam et latera puivino circiter sesquipedales margines strnantur aequilibres ex planitia, quae est su pra scritta; tunc proclinatio ea impleatur harena et exaequetur cum margine et planitia puivini. Deinde insuper eam exaequationem pila, quam magna constituta faerit, ibi strnatur; eaque cum erit extrurta, relinquatur ne minus duos menses, ut siccescat. Tunc autem succidatur margo, qune sustinet harenam; ita harena fluctibus subruta efficiet in mare pilue praecipitationem. Hac ratione, quotienscumque opus fuerit, in aquam poterit esse progressus.”
Trad. Qualora invece, per via delle onde e della forza del mare aperto, le palificate non avessero potuto trattenere le casseforme, allora dalla terraferma o dalla banchina si costruisca quanto più solidamente possibile un basamento; questo basamento si costruisca in modo che abbia una superficie, per meno della metà in piano, e il resto, la parte verso la spiaggia, inclinata. Quindi, sul fronte a mare e sui lati si costruiscano al basamento degli argini, allo stesso livello della superficie in piano descritta sopra, larghi circa un piede e mezzo; poi l’inclinazione sia riportata con della sabbia alla quota dell’argine e del piano del basamento. Quindi sopra questo piano si costruisca un blocco, grande quanto si sarà stabilito; quando sarà pronto, lo si lasci a tirare per almeno due mesi. Allora si demolisca l’argine che contiene la sabbia; in questo modo la sabbia, dilavata dalle onde, provocherà la caduta in mare del blocco. Con questo sistema, ogni volta che servirà si potrà ottenere un avanzamento in mare.
Dopo aver analizzato le modalità operative descritte da Vitruvio per la costruzione di strutture sommerse e dei porti, si evidenziano alcuni strumenti di ricerca utili per l’individuazione, a livello teorico di una struttura portuale.
Come spesso accade, la toponomastica può aiutare a individuare l’eventuale presenza di un contesto archeologico; mentre, nel nostro caso specifico, la semplice terminologia può essere un indicatore della presenza di un porto. Se su una fonte ci si imbatte nel termine portus, con buone possibilità la struttura indicata era costruita presso un ampio bacino, difeso da due moli di produzione antropica con la presenza a terra di strutture adeguate, es. magazzini e altri locali di servizio.
Portus è il temine con cui Vitruvio indica il tipico impianto portuale appena descritto.
Spesso alcuni autori, quali Svetonio, si soffermano con maggiore attenzione su alcuni particolari che permettono una ricostruzione teorica migliore. Altri indicatori sono forniti dalle epigrafi relative a lavori di interventi di manutenzione o ampliamenti o restauri effettuati e registrati.
Un’altra fonte è da considerare l’Itinerarium maritimum che riporta spesso il termine portus , mentre con il lemma plagia si indente il tipico approdo naturale, ovvero privo di costruzioni in muratura. Un approdo naturale per eccellenza è il golfo di Noli (SV).
I porti sono presenti nelle fonti iconografiche, alla pari di altri monumenti su supporti diversificati, quali monete celebrative, rilievi, mosaici, affreschi e decorazioni vascolari.
Dal momento che spesso di tratta di materiale dal riconosciuto valore artistico, non sempre può essere utilizzabile sia per la localizzazione fisica delle strutture, sia per la rappresentazione architettonica: i problemi interpretativi che questi elementi possono sono dovuti alla non conoscenza dell’intento con cui sono stati rappresentati: un disegno fedele al soggetto di partenza o più semplicemente una rappresentazione stereotipata di un porto?
Queste forti incertezze, sono causate anche dalla mancanza di dati archeologici tali da poter permettere una verifica e intreccio con gli elementi iconografici.
Delle rappresentazioni di porti sono presenti in ambito funerario, ma in questo caso la struttura, più che per motivi tecnici è stato rappresentata per il suo valore simbolico: diventa un sinonimo di approdo sicuro, concetto questo che si affermerà maggiormente in epoca cristiana, dove il porto è metafora di salvezza (pensiamo anche semplicemente alla simbologia cristiana dell’ancora).
Un maggiore precisione del dettaglio è fornita dalla rappresentazione sulle fiaschette del molo di Pozzuoli. Nella Tabula Peutingeriana sono presenti alcune illustrazioni di porti es. Fossis Marianis e Portus Augusti; se da un lato la loro localizzazione geografica è attendibile, la restituzione grafica della loro struttura lo è molto meno in quanto stereotipata.
Il porto ostiense di Claudio è rappresentato nelle monete battute in occasione dell’inaugurazione della struttura ai tempi di Nerone. Purtroppo ci sono diverse raffigurazioni dello stesso soggetto, ma ciononostante si riesce a farsi un’idea della struttura generale. Il bacino portuale è racchiuso a sinistra da un braccio su cui poggiano edifici e un portico a volte, che rappresenta probabilmente un fronte di fabbricati di servizio portuale, simile a quelli che si scorgono su altre monete e che compaiono nelle stesse illustrazioni della Tabula; in un altro moneta con lo stesso porto rappresentato, si nota che il lato sinistro si trasforma in un portico colonnato, mentre il braccio destro ha l”aspetto di molo ad arcate.
Repertorio iconografico ricco è quello fornito dalla pittura murale, soprattutto campana e laziale, costituito da molti i paesaggi marittimi e portuali.