Ogni libro di archeologia subacquea che si rispetti finisce per citare sempre gli urinatores, indicandoli a volte come i gli ”antenati” degli archeologi subacquei e altre per quello che erano effettivamente: un gruppo organizzato di persone specializzate in recuperi subacquei al tempo dell’antica Roma.
La storia della moderna scienza archeologica subacquea, si sa, è tutto sommato breve: dalle prime pionieristiche missioni di Nino Lamboglia in Italia e di George F. Bass in Oriente sono passati poco più di cinquant’anni, e del resto, prima dell’invenzione dell’autorespiratore ad aria (opera di Jacques-Yves Cousteau ed Emile Gagnan nel 1942) sarebbe stato praticamente impossibile operare in maniera scientifica e accurata in un ambiente tradizionalmente ostile come quello marino.
La storia dei recuperi subacquei, invece, che in molti casi viene confusa con la pratica archeologica, ma che, a voler essere sottili, con l’archeologia non ha poi troppo a che vedere (fatta eccezione per le tecniche impiegate), è ben più antica: l’interesse per i tesori custoditi dal mare e la voglia di tirarli su, e di arricchirsi, evidentemente, ha spinto già in antico gli uomini nelle profondità marine. A tale proposito si può citare il caso della Madrague de Giens, relitto famosissimo, ritrovato sotto una cospicua coltre di sedimenti e vegetazione, ma già “visitato” in antico e privato di parte del prezioso carico.
Ogni libro di archeologia subacquea che si rispetti finisce perciò per citare sempre gli urinatores, indicandoli a volte come i “nonni” o gli “antenati” degli archeologi subacquei (ma così si finisce sempre per appoggiare la falsa credenza che vede l’archeologia subacquea essenzialmente come una avvincente caccia al tesoro) e a volte, meglio, per quello che erano effettivamente, ossia un gruppo organizzato di persone specializzate in recuperi subacquei al tempo dell’antica Roma.
Apneisti di grande abilità, capaci di recuperare carichi consistenti a profondità di tutto rispetto (sembra anche fino a 27 metri), gli urinatores non furono i primi “sommozzatori” della storia; le fonti (vedi immagine) ci raccontano di Assiri capaci di risalire un fiume di nascosto dai nemici nuotando sotto la superficie dell’acqua, di pescatori di spugne e murici famosi già in antico per le loro straordinarie abilità, di subacquei militari usati sia in operazioni di attacco (come il leggendario Scillia di Sicione che al tempo delle guerre persiane avrebbe tagliato le funi di ormeggio delle navi nemiche per lasciare la flotta dell’invasore in balia di una tempesta, o come i nuotatori ateniesi che nel corso della guerra contro Siracusa, nel 414 a.C. avrebbero segato i pali di legno messi sott’acqua a protezione del porto siciliano), sia in operazioni di sostegno e vettovagliamento (come i subacquei che rifornivano le truppe spartane nell’isola di Sfacteria durante la guerra del Peloponneso).
Gli urinatores non sarebbero stati neppure i primi a recuperare carichi affondati, in quanto, sempre secondo le fonti, già nel II secolo a.C. , durante la guerra macedonica, sarebbero stati recuperati i tesori di Pella, gettati frettolosamente in mare dal re Perseo di Macedonia che cercava di impedire in questo modo che cadessero nelle mani dei Romani; prima ancora, nel V secolo a.C. , il già menzionato Scillia di Sicione avrebbe aiutato proprio i Persiani a recuperare i carichi delle loro navi perduti durante il naufragio avvenuto al largo di monte Pelio.
La particolarità degli urinatores sta nel fatto che essi erano organizzati: un’epigrafe da Ostia ricorda il corpus urinatorum locale mentre una base di marmo rinvenuta a Roma, nell’area del porto fluviale, cita il corpus piscatorum et urinatorum totius alvei Tiberis. Gruppi costituiti di “subacquei” professionisti, dunque, che lavoravano in aree di intensissimo traffico navale, quali potevano essere il corso del Tevere e il porto di Ostia. E che si arricchivano non poco, se dobbiamo prestar fede a una norma, contenuta nella lex Rhodia, che quantificava il premio spettante agli urinatores nel caso di recuperi di carichi gettati in mare o perduti: pare che questi antichi sommozzatori riuscissero a ottenere un compenso corrispondente a un terzo del valore dei beni recuperati nel caso di operazioni effettuate a una profondità inferiore ai 15 metri, e addirittura alla metà in caso di operazioni svolte a profondità comprese tra 15 e 27 metri.
Un famoso rilievo della prima metà del I secolo a.C. mostra una scena che potrebbe riguardare proprio i nostri urinatores all’opera: si vede chiaramente, infatti, un gruppo di persone che porta in superficie una rete nella quale, tra i pesci, spicca una grande statua di Ercole (peraltro di un tipo iconografico di V secolo a.C.), che forse faceva parte del bottino che Silla riportava a Roma dopo il saccheggio di Atene. Una voce autorevole del passato, infine, ci fornisce anche un dettaglio su come si affrontassero problemi di visibilità: Plinio (vedi rif. a piè pagina) ci racconta che gli urinatores usavano spargere olio dalla bocca durante l’immersione (e anche prima, sulla superficie dell’acqua) per poter vedere meglio.